mercoledì 24 novembre 2010

November rain

E come preventivabile Novembre arrivò con il suo carico di ciclotimie.
(In ritardo rispetto a quanto mi aspettassi, eventi imprevedibili si erano messi in mezzo)
In questi giorni cielo grigio guardo senza vedere
(certo, il Silenzio non aiuta. Né la costante-crescente sensazione di aver sbagliato completamente impressione, io che faccio delle sensazioni e dell'empatia la mia guida principale)
Li osservo, talvolta sorrido, molto più spesso assorbo questo carico di angosce e domande senza risposta
G., che porge il biberon alla sua piccola che un cervello non ha,
decise di adottarla da missionario in sudamerica, l'avrebbero posta in istituto - luoghi, mi racconta, dove i bimbi abbandonati vivono in gabbie in attesa dell'inevitabile. Fa tutto ciò che io gli dico, mi guarda, ho l'impressione di leggere persino ...speranza. Mi mostra la sua piccola, un foglio bianco, lei si, perché noi possiamo capire. I suoi racconti sanno di tempi lontani, immagino lui e la sua donna, i loro bambini, e quello in arrivo. La casa famiglia, i piccoli abbandonati di cui prendersi cura. E ora che è qui, in quella stanza buia, tra il rumore dell'aerosol e l'inquietante silenzio che caratterizza questo posto io mi fermo sul corridoio, e mi chiedo perché non riesco più a sentirne la gioia. E' passato solo un giorno...
D., con la sua ragazza devastata dall'Epilessia, ha la mia età ma non è su questo mondo, non più da quando aveva sei mesi. Trascorre le sue giornate su una panchina in corridoio, mentre sua figlia  ripete costantemente lo stesso nome, di là dagli educatori. Lo guardo, mi guarda, ha gli occhi tristi, ho gli occhi tristi. Figli così distruggono, senza colpa, sia chiaro, anche la famiglia più bella. Lui e sua moglie non si parlano più. Eppure, quando l'ho chiamata per sapere di più sulla paziente, lei mi diceva "parli lei con gli educatori, mio marito è timido, lo sa..." ...timido. Io userei questa parola solo verso qualcuno a cui voglio bene... E noi ci dilettiamo, aggiungiamo mezza compressa di questo, ne togliamo mezza di quello, e io mi chiedo a cosa serva, che una vita degna quella ragazza non l'avrà mai ... (e poi mi dicono chi sono, io, per capire cosa è degno e cosa non lo è. E forse avete ragione voi, io che  sono giovane, sano, e ho quasi tutto ciò che una persona può desiderare e non conosco ancora cosa sia la serenità)
E poi c'è R., ha sei anni e io non so se camminerà mai, "discinesie ne parassitano il movimento", quando mi ha visto mi è corso incontro sulla sua seggiolina, "Dottor P.", gridava, ed era felice di rivedermi un anno dopo. Io avrei voluto prenderlo in braccio, ma il contatto umano non è mai stato il mio forte, e mi inginocchiavo affianco a lui, e non capivo, come potesse aver così tanta voglia di sorridere, ne rimanevo estasiato. "E' sempre così allegro" chiedevo a suo papà. "Si", diceva lui. E io scuotevo il capo, e mi ripetevo "E' pazzesco..."
Suona il telefono. Interrompo questo flusso di pensieri, chiamano per la mia bimba.
Storie normali, gente speciale, cerco di mantenere vivo uno sguardo.

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