mercoledì 24 novembre 2010

November rain

E come preventivabile Novembre arrivò con il suo carico di ciclotimie.
(In ritardo rispetto a quanto mi aspettassi, eventi imprevedibili si erano messi in mezzo)
In questi giorni cielo grigio guardo senza vedere
(certo, il Silenzio non aiuta. Né la costante-crescente sensazione di aver sbagliato completamente impressione, io che faccio delle sensazioni e dell'empatia la mia guida principale)
Li osservo, talvolta sorrido, molto più spesso assorbo questo carico di angosce e domande senza risposta
G., che porge il biberon alla sua piccola che un cervello non ha,
decise di adottarla da missionario in sudamerica, l'avrebbero posta in istituto - luoghi, mi racconta, dove i bimbi abbandonati vivono in gabbie in attesa dell'inevitabile. Fa tutto ciò che io gli dico, mi guarda, ho l'impressione di leggere persino ...speranza. Mi mostra la sua piccola, un foglio bianco, lei si, perché noi possiamo capire. I suoi racconti sanno di tempi lontani, immagino lui e la sua donna, i loro bambini, e quello in arrivo. La casa famiglia, i piccoli abbandonati di cui prendersi cura. E ora che è qui, in quella stanza buia, tra il rumore dell'aerosol e l'inquietante silenzio che caratterizza questo posto io mi fermo sul corridoio, e mi chiedo perché non riesco più a sentirne la gioia. E' passato solo un giorno...
D., con la sua ragazza devastata dall'Epilessia, ha la mia età ma non è su questo mondo, non più da quando aveva sei mesi. Trascorre le sue giornate su una panchina in corridoio, mentre sua figlia  ripete costantemente lo stesso nome, di là dagli educatori. Lo guardo, mi guarda, ha gli occhi tristi, ho gli occhi tristi. Figli così distruggono, senza colpa, sia chiaro, anche la famiglia più bella. Lui e sua moglie non si parlano più. Eppure, quando l'ho chiamata per sapere di più sulla paziente, lei mi diceva "parli lei con gli educatori, mio marito è timido, lo sa..." ...timido. Io userei questa parola solo verso qualcuno a cui voglio bene... E noi ci dilettiamo, aggiungiamo mezza compressa di questo, ne togliamo mezza di quello, e io mi chiedo a cosa serva, che una vita degna quella ragazza non l'avrà mai ... (e poi mi dicono chi sono, io, per capire cosa è degno e cosa non lo è. E forse avete ragione voi, io che  sono giovane, sano, e ho quasi tutto ciò che una persona può desiderare e non conosco ancora cosa sia la serenità)
E poi c'è R., ha sei anni e io non so se camminerà mai, "discinesie ne parassitano il movimento", quando mi ha visto mi è corso incontro sulla sua seggiolina, "Dottor P.", gridava, ed era felice di rivedermi un anno dopo. Io avrei voluto prenderlo in braccio, ma il contatto umano non è mai stato il mio forte, e mi inginocchiavo affianco a lui, e non capivo, come potesse aver così tanta voglia di sorridere, ne rimanevo estasiato. "E' sempre così allegro" chiedevo a suo papà. "Si", diceva lui. E io scuotevo il capo, e mi ripetevo "E' pazzesco..."
Suona il telefono. Interrompo questo flusso di pensieri, chiamano per la mia bimba.
Storie normali, gente speciale, cerco di mantenere vivo uno sguardo.

lunedì 8 novembre 2010

Dei viaggi e dei trattori

Ed era strano partire senza alcuna definizione
Noi si era in viaggio per mete approssimative
Paesaggi che mostravano colori inequivocabili
Silenzio
Fermare la macchina nel nulla
Per cercare un istante di fusione
Sincronizzare i respiri
E poi imprimere le stelle a fuoco nella retina
Perché hai immagini che conservi per la vita
Sorprendersi nel buio
Avere paura, perché no
In quell'assurda fiumana di sentimenti e confusione
Ci trovavamo a parlare di canzoni e affinità

Mi chiedevo quanto potesse reggere la terra
Se la rete tesa in basso fosse già solida
(come del resto sembrava)
Perché non scorrere leggeri
Su quelle note comuni
E dimenticare.

Noi si rideva, si parlava, si restava in silenzio
Su quella strada che scorreva, lei sì, in libertà
In quel nero color creta
Cercavamo un istante di meraviglia
E mi chiedevo se fosse quello l'unico modo
Per scoprirci vicini

Anime che si incrociano per un istante
Sono porte che si schiudono
La percezione senza percezione
Tra fiorentine e trattori
Ridevamo abbracciati
Al riparo

quando chiudevo gli occhi
e diventavo lontano
Viaggiavo e mi dicevo
Va bene così

domenica 10 ottobre 2010

Sospensione

E tutte quelle assurde, improponibili coincidenze

Acquisivano un senso

(non che già non lo avessero

anzi, faceva strano, si sarebbe proseguito così che era già tanto bello

e poi si sa, dopo cambia tutto)

ma quelle coincidenze, si diceva,

portavano dritto ad un abbraccio inevitabile

Sulle note dei Dire Straits

Respiravo Vita

lunedì 4 ottobre 2010

E noi, nel frattempo, si sfrecciava tra Britos e dieci anni fa

La cosa pazzesca, è che noi, in quell'istante lì, sfrecciavamo sulla Statale come se niente fosse. 
Ridevamo, il Procuratore guidava, al Gaugen c'erano gli altri. Lo svizzero, il cognato, l'ispanico, Coppins, forse ci sarebbe stato anche Patrick, e poi Cellons, e gli altri, volti nuovi, volti amici, trovati un po' così
Per caso in una notte senza pretese, erano spuntati da una foto

Un ragazzo senza barba su un cinquantino rosso, gli occhi neri i capelli lunghi, la maglia da portiere ed un caschetto bianco ben calcato sulla testa(una scritta un po' gotica lo qualificava come Valgart)
guardava un po' assorto la fotocamera
dietro a lui troneggiava un cartello, v'era scritto Sirolo

Ecco, noi si stava andando lì e ne frattempo si scherzava. "Alessà, ascoltati questa !" gracchiava il Procuratore fresco di Procura "Viene direttamente dallo Zen ! Domenica pomeriggio, dieci anni fa !"

Le note partivano in un lampo, te la ricordi Vale 2000, ma poi come è andata tra di voi, non so, si sa, però

E noi si correva su quella musica diffusa, uno dopo l'altro si viaggiava sugli aneddoti e sui personaggi, dalla notte appena passata sino a dieci anni fa. E poi, si sa: adesso è facile, è tanto facile, adesso che non c'è più lei è tanto facile, è solo facile capire cosa c'è e amare quel che c'è, ricominciare a vivere con me

La notizia arrivò senza preavviso, mentre le note sgorgavano ancora, nostalgiche, inappropriate.

In quel preciso istante parlavamo ... di Britos, e delle folate offensive di Pandev.

E' la vita che ti sconvolge, con una carezza od un calcio nello stomaco. E ti restituisce la giusta dimensione.

E il 6.5 di Britos scompariva, e lo Zen restava sullo sfondo, e Cognac e gli altri sarebbero stati un sorriso a cui rispondere, quando con la testa non ci sei.

Buon volo, bambina. Adesso è facile, è tanto facile...

martedì 31 agosto 2010

Israele

Nazareth, direzione Tel Aviv.  29/08/2010, ore 17.30

"Sali", mi disse lei, "il tuo autobus e' questo".
Aveva l'uniforme verde e lo sguardo fiero, imbracciava un mitra, con l'altra mano giocherellava con il caricatore.
Dentro decine di militari, tutti piu' giovani di me. Sedeva dietro il mio posto.
Le squillo' il cellulare, rispose, disse "Ima"
Parlava a bassa voce, quasi vergognandosi.
Sorrisi, per lei provai ...tenerezza.

lunedì 9 agosto 2010

E mentre moriva loro parlavano del modulo AD

Lei all'improvviso cambiò stanza, lì lasciò tutti fermi davanti ad uno di quei corpicini trafitti da cateteri e vie. Inermi, addormentati, immersi in un Vuoto di cui ignoro i sogni, tubi e sonde di ogni genere li attraversavano, esili ragni, adagiati in una nonvita scandita da dei beep. Io li guardavo, mi chiedevo, perché tanta bravura, tanta conoscenza, nel fronteggiare ciò che loro stessi definivano cadavere, il sottile confine tra speranza nel miracolo e accanimento terapeutico, esercizi di stile, atmosfere asettiche, pattine e cuffiette, formiche che si affollano, corrono, guardano, calcolano attorno al grande mistero della vita, quattro corpi sospesi a mezzaria avvolti in tecnologiche termoculle, futuristica evoluzione di bolle di sapone.

Loro aggiustavano gamma e millilitri di questo e di quello; io, nel mezzo, tentavo di mantenere quel distaccato punto di vista sul mondo in cui ricerco la tridimensionalità.
Giunse una musichetta, leggera, sul lettino di M. girava ritmico un giocattolino appeso da nonsochi - del resto lui i genitori, non li aveva visti mai. Io M. avevo provato a conoscerlo, gli avevo stretto la manina in un giorno di maggiore entusiasmo, lo accarezzavo non riuscendo a non guardare le sue piaghe da decubito, gli sussurravo qualcosa. Lui si girò, aprì gli occhi, pensavo mi stesse fissando, sorridevo, trasmettere calore. Il suo sguardo mi trapassò, revulsione oculare, nistagmo, capii che davanti ai suoi occhi c'era un vuoto profondo ed insensibile.

Lo avevo visto sorridere, una volta. Cosa sorridi, che non c'è niente da sorridere, gli avevano risposto. Ed io mi chiedevo dove fossero quegli angeli in camice bianco di cui avevo letto, mi domandavo se avessero protetto i loro cuori dietro corazze inespugnabili o se non fosse piuttosto quella la realtà.

Tutti loro entrarono insieme, lei lo accarezzava, quella musichetta dolce aleggiava ancora, l'infermiere gli teneva la manina con delicatezza. Cosa stai facendo qui, hai una faccia triste, le disse qualcuno a cui lei doveva rispondere. Lo sto accompagnando, rispondeva lei, forse sarebbe meglio avere del silenzio. Loro ridevano, commentavano, sindacavano sulle dosi di sedativo che lei gli aveva somministrato perché non sentisse più il dolore, ora che il cuore di M. aveva smesso di battere, ora che non c'era più niente da fare. E si era fatto anche troppo, mi gridavo, che quella non era possibile definirla vita, venire al mondo per trovarsi soli e senza respiro su una termoculla, dipendenti da un respiratore, mentre giornalmente orde di sconosciuti manipolano il tuo corpo, lo bucano, prelevano, sistemano, mantengono in range i tuoi parametri vitali perché questo è ciò che si deve fare nell'attesa di una svolta, improbabile miracolo o lento ed inesorabile decesso.

Lei continuava a guardarlo ignorando le risate, i commenti su questo o quell'altro collega che aveva modificato le dosi, e si, loro ci avrebbero giurato, che il cuore di M avrebbe ripreso a battere, lo aveva già fatto, per attaccamento alla vita o per routine.
Avete visto, sussurrava lei, M. era morto, se si può dire che vivo lo sia mai stato.

Eppure io mi stringevo le dita fino a farle sbiancare, perché in quella sua nonvita avrà comunque percepito un sentimento, avrà desiderato una stilla di calore, una coccola, un sorriso, una carezza, un bacio. Ed era strano andarsene così, con la musichetta sovrastata dai beep, dagli acidi commenti, dalle interferenze, dai capannelli, da occhi voyeristici tra cui annovero anche i miei.
Una mano che lo accarezzava subito ritratta, una stretta sulle dita, per accompagnarti in Nessundove, mentre attorno speculavano su improbabili Aldilà.

Mi dispiace M, non sono riuscito nemmeno a piangere, in quella calca disumana nemmeno io, ospite sconosciuto, sono riuscito a sentirmi libero di dirti ciao.
E mentre si affievoliva l'eco dell'elettrocardiogramma, loro parlavano del tuo modulo AD.

domenica 20 giugno 2010

Ventisette

Ed infine arrivò il giorno.
Quando avevo diciassette anni mi chiesero
Tra tutte le persone esistenti od esistite, chi avrei voluto davvero conoscere.

Risposi me stesso
(dieci anni dopo).

Dieci giorni fa la ricorrenza.

(ci è voluto un po' per metabolizzare la cosa)

A mente un po' più lucida posso soffermarmi a guardare le cose dall'esterno. Ripercorrere questo lungo periodo, che - per inciso - è l'unico della mia vita che ricordo.
Considerando quale era il punto di partenza.

Potevo sicuramente fare di meglio, non vivo in America o in Australia, non ho vinto premi o riconoscimenti particolari, non ho costruito una famiglia, non mi sono mai lanciato col paracadute e probabilmente mai lo farò.
Ci sono devo dire un sacco di cose che non ho fatto.

Eppure amo questa vita, nonostante tutto, dannatamente e disperatamente.
Amo questa alternanza di periodi
che nel momento di nero grigiore mi scuote e senza alcuna ragione apparente mi regala istanti sospesi
che mi ha permesso di girare il mondo più di quanto era lecito aspettarsi
che mi ha portato a fare la professione che ho sempre sognato (psichiatra infantile), nella città che più di tutte ho amato davvero
che mi ha restituito un anno da solo a Barcelona, con sinusoidi allegate
che mi ha fatto conoscere persone meravigliose, che stimo e che ammiro
che nonostante la mia naturale propensione a perdermi continua a regalarmi entusiasmo

Mi aspetta a casa sotto forma di cinque gattini appena nati, si materializza nella telefonata di un amico che ha un regalo inaspettato per me
è nella risata di persone che non vedevo da anni (dieci), tornano da viaggi in Motorino sempre in due, da San Benedetto ad Ancona, si appalesano tra gechi e barcode
è in un cielo che, per quanto lo rinneghi, risplende di stelle più che mai

è nelle gocce di pioggia che mi sorprendono, unico immerso nel caldo Mare Adriatico, e mi rivelano quella meravigliosa sensazione di libertà,

in viaggi in macchina che sanno di avventure surrealiste e discrete manualità

è anche camminare per chilometri, e baciarsi solamente dopo ore, ma sulle note di Pictures of You - restare abbracciati in silenzio

(e chi se ne frega come finirà e che ne sarà, è bello aprire capitoli bianchi per scoprire la storia da scrivere)

Io non lo so se avrei immaginato o preferito qualcosa di diverso, più categorizzato e definito

Ma non riesco a fare a meno di questa meravigliosa vita
Ruota impazzita
che non smette di girare
anche quando voglio non ammetterlo
e mi regala istanti preziosi
imprevedibili ricordi
e sentimenti veri

venerdì 14 maggio 2010

Viversi con occhi diversi

E così tornammo a Roma
cinque anni dopo
stesso duo, stesso treno, stessi pacchi
ci lanciavamo su quelle rotaie rumorose tra sorrisi, ricordi e sha sha sha

Mi immergevo nella folla colorata
sguardi, posture, sensazioni
cercavo di leggere negli occhi della gente
un riflesso, un segnale

Ed era strano ritrovarsi lì,
ormai lavoratori, medici-in-carriera
testa di bambini
occhi ormai di adulti

Inventavamo "Nuove Identità"
Psicologi e tecnici di prevenzione
per chiedere, a questo o a quello
una strada già ben nota

E come sempre trovavo la giusta dimensione tra gli sconosciuti
tra coloro che ti guardano, ti ascoltano, ti parlano
con gli occhi della prima volta
zero filtri, zero buone-impressioni, zero preconcetti
sentivo attorno a me una meravigliosa

leggerezza...

e le note erano soltanto un meraviglioso pretesto
per essere in quella assurda fiumana
seduti per terra
sorseggiavo vodka martini
nella mia identità nuovadizecca
disquisivo di Melanie Klein e marchi CE
agorafobie
pattine antiscivolo
sapendodiresemprelacosapiùgradita
sapendoquandoèilcasod'indossareungiallocaschetto

Probabilmente avrebbe dovuto cantare la hit dell'estate
Cristiano Godano avrebbe fatto migliore figura
ma era bello così
che ci fosse qualcuno in grado di fartela scendere

Promesse difficilmente mantenibili
che sapevano di weekend ai confini con l'Africa
ci lasciavamo alle spalle compagnie
Nuvole di Fumo Senza Coda
Herb Hunter pescava due volte

La canzoncina ci guidava
il flusso decretava San Lorenzo
Via dei Sabelli ci accolse
come Manna dal Cielo

Paradiso nascosto, paradiso perduto
seduti in quella piazza a fumar sigarette
contemplavo antichi vasi
Mads e trentadue

Intensificatori di brillanza

Butelle e bolognesi

era bello potersi innamorare per un istante

energetici ingegnerismi

rivelare identità


E fu così che scoprimmo la perduta Atlantide
ci portava il flusso
noi a nostro agio
sapevamo, con occhi diversi
che quanto hai costruito nella vita,
quanto hai gettato nella vita
ti concede il dono più grande
avere gli strumenti per potersi reinventare
per sapersi inventare
ovunque e comunque
il colore attorno a te può essere il tuo

voglia di birre e di caffèdoppi
di surrealismi e di novità
la percezione dell'incredulo
dell'unicità di quanto accadente

in macchine sconosciute
nessuna paura
era meraviglioso rispondere no
non sono sicuro, non è così importante

esplorare forti
seduti per terra
tra castigliani e senzaterra
cittadini della notte
inquilini dell'assurdo
esploratori del surreale

nessun sogno
in quella dimensione così onirica
perchè si può sempre entrare in dimensioni nuove e fluttuanti
basta soltanto sentirsi

leggeri
lontani

avere occhi diversi per vivere le stesse cose con modalità divergenti

cinque anni fa mi cullavo
su quelle meravigliose bolle di sapone
a strapparsi i respiri
senza più restituirli
e mi crogiolavo nel nondetto
nei rapporti nonvissuti

ed è bello adesso
sapersi modellare
senza perdere di vista quel personalissimo e incantato punto di vista sul mondo
che rende ogni dettaglio significante
che manda in memoria libri interi di parole

perché 12 ore possono essere immense
e dense di vita, quella vera
anche quando continui a ritrovarti al punto di partenza
volta dopo volta
sguardo dopo sguardo

Mentre vivevamo quella notte così fluida
ci ripetevamo senza sosta
è persino più bello d'allora
di quel primo di maggio 2005 che aprì le porte al surreale

La hit dell'estate suonava incessantemente
Here come Psich & Tech

martedì 23 febbraio 2010

Iperlassismi

Percepisco una punta di disappunto nel mio notare come questo blog, che avrebbe dovuto segnare nel tempo gli istanti da conservare per poi raccontarli con ancora i colori intatti e vividi, condividerli insomma, riscoprirmi, stia inesorabilmente scivolando verso un lassismo da cui momentaneamente non appaio capace di evadere.

E forse a spingermi a scrivere sono le note del Vortice dei MK su cui mi sto sintonizzando, forse l'imminente 13 Aprile che potrebbe offrirmi una clamorosa Second Way per tracciare una nuova vita professionale e geograficosociale. Oppure è più probabilmente quell'aria di primavera imminente, che annuso a pieni polmoni mentre inalo tiri di John Player, Marzo che è per me tradizionalmente periodo favorevole per slatentizzare una ciclotimia che mi porto dentro sin da bambino.

Fino a pochi giorni fa ero a Roma, a specchiarmi in un Tevere su cui si riflettevano le luci della Città Eterna. Una melodiana suonava una delle versione di Con te partirò che sarebbe stata molto più degna di altre, attorno a me sciamava lo scorrere delle persone. Era un piacevole turbine, di suoni e di voci e di idiomi. Mi fermavo, seduto su una micropanchina con la mia compagna di viaggio a parlare Catalano con un gruppo di olandesi, tutto intorno il vociare, i sorrisi, le birre, le canzoni, le persone sedute sui gradini portavano alla mia mente ricordi di Primo Maggio, di un viaggio in treno senza mezze pretese, avevo appena letto Due di Due, ci fermammo davanti all'unico vagone che era lì per noi; dentro, due ragazze leggevano Dylan Dog. Fermiamoci qui, pensai. il resto è storia di un mese surreale, che generò un erasmus surreale, una vita surreale.

Ed è proprio dal centro delle secche che mi chedo quale sia la strada. Fermarmi e lottare per cambiare qualcosa qui dove sono ora, o racchiudere il mio mondo in una valigia e dedicarmi all'ennesima incompiuta della mia vita, partire col mio paquete de sueños debajo el brazo, en busca de la locura, de la tristeza, de la alegria, de el surrealismo, de los arrepientimentos, de el amor, de la felicidad.

Non ho mai smesso di pensare a questa pagina, ho trovato scuse francamente ridicole per non aggiornarla. L'ho fatto su un foglio di corvi volanti, nel centro di un albergo iperlussuoso mentre attorno a me i più grandi psichiatri italiani disegnavano sapienti linee guida.
E gli appunti che disegnavo sul foglio recitavano cosí

-Il meraviglioso mondo della Pediatria
-La festa delle Medie a cui non sono andato mai
-Conversazioni surrealiste, parte ennesima: e sembrava di stare in un film di Muccino
-Il burnout attraverso lo specchio, ovvero, la giusta dimensione
-Telematica Decadenza
-La Primavera di Roma

Questi erano probabilmente gli interventi, i ricordi che avrei dovuto scrivere, e che rimarranno perlomeno in forma nominale, per non dimenticare.

Ed io vorrei soltanto riprendere a scorrere in maniera poco placida, in vortici di cui non vedo la fine ma di cui sento la realtá. Forse devo soltanto cambiare strada, saltare nel buio, ricominciare da zero, ancora una volta, altrove. Forse devo soltanto aspettare la Primavera, e i viraggi ipomaniacali che ne conseguono. Forse devo soltanto tornarmene a Roma, a Figline, a Milano, in tutti quei posti che mi hanno regalato un'emozione autentica. O forse devo soltanto aprirmi e fidarmi, come mi ha consigliato il mio migliore amico.

O forse devo soltanto accettare tutto questo, perchê es lo que hay, e da qualche parte mi condurrá.

Non lo so.

Nel dubbio ho posto tutte queste domande ad un cucciolo. Tremava, abbracciato alle mie mani, mi ha ascoltato. Ha aperto gli occhi, ha detto "Miu".

Confesso di non aver capito bene cosa intendesse dire.

domenica 3 gennaio 2010

Non vedo, non sento, non parlo

La prima immagine è in un affollato locale Bolognese, ritrovo abituale d'Erasmus ed anche mio, fino a qualche anno fa (bisogna anche dire che proprio lì si svolse uno dei passaggi fondamentali di uno degli eventi più surreali che ricordi, ma questa è un'altra storia).
Lì, sorseggiando coca e montenegro (sic !), io ed Espazz -tale infatti, sarebbe stato castiglianizzato il suo nome- partorimmo l'idea del Patto di Sangue.
Una stretta di mano ed un brindisi. Vada come vada, noi partiremo. Carichi "che la metà basta".
Erano infatti giunti messaggi ben precisi in tal senso. Le vite ben tracciate che improvvisamente - ops ! - sussultano disarcionandoti. E dopo un'aulica culata sul metaforico ghiaccio entrambi avevamo notato le nostre piacevoli ed artificiose costruzioni essersi scomposte. Si era pertanto giunti in uno di quei Momenti di Transizione che tanto ben si conciliano con l'idea del Viaggio.
E dove andarcene se non a Barcellona, laddove avevo vissuto tempo addietro (lo stesso E. ne conosceva lo spirito, essendo transitato di lì proprio in quel periodo) e dove ero ancora tornato da tre anni e mezzo per precisa scelta ? Tutto riconduceva lì: il capodanno, le ferie, e soprattutto la consapevolezza che avrei potuto ritrovare un ambiente familiare, perché coloro con cui avevo diviso quell'esperienza meravigliosa chiamata Erasmus proprio a BCN si erano - chi prima, chi dopo - trasferiti a vivere.
Seguirono scambi di messaggi febbrili, nell'attesa, nella promessa, nella gioia di leggere "penso a tutto io".
Ed eccoci sul BarcelonaBus, imprimere foto nella retina, e da lì scendere di corsa all'Arc de Triomf, per un abbraccio che sapeva di amicizia vera: il nostro ospite era lì, probabilmente cresciuto, ma esattamente come io lo ricordavo (del resto, ci eravamo anche visti nel frattempo: ma nella serata più vera, parola dopo parola, incappammo in un terribile prodigio, il Marchese bevuto alla goccia. Pertanto nessuno dei due sa nulla di quella sera, ed anzi, entrambi si tende a dimenticarne l'esistenza).
Realizzavo di essere a casa - credo lo realizzassero un po' tutti visto che continuavo a gridarlo ai quattro venti - come non lo ero stato mai, nemmeno mentre vivevo lì. E del resto è un argomento che avremmo adeguatamente sviscerato con il Dr. E., a cena, nel verde dell'universitat, nel gracidio di un locale affollato immersi nei fumi dell'alcol, insomma ovunque: sono le percezioni che abbiamo degli eventi a qualificarli, a farci scegliere se crederci aquile o polli indipendentemente da cosa siamo davvero.
Barcelona aveva finalmente una forma a me chiara, ne coglievo le sfumature, la leggevo e da Lei mi lasciavo leggere. Sorridevo, camminavo tra quelle vie strette e familiari, ne ascoltavo ogni sussurro, ne respiravo ogni fragranza ("Ah, si stava parlando di merda qui !"), mi divertivo ad incrociare le persone, consapevole fluido in un torrente che scorre non importa verso dove. Non argini da erigere ! Semplice dissolvenza che ti trattiene in un posto a fissare il nulla soltanto perché "qui si sta bene".
E' per me estremamente difficile rimettere in ordine un turbine di eventi che ordine non ha. Dalla prima notte, finiti per caso al Jamboree, scoprivo quanto era facile vivere la Barcellona di notte se sei giovane, fondamentalmente contento di essere lì e con il cervello disconnesso. A tutto il resto, pensava il Patto. Collezionavamo respiri, ed in seguito sarebbe stato importante analizzare in seduta l'eclatanza dei casi: come da una moneta da venti centesimi regalata ad uno sconosciuto si possa comprendere non dico il mondo intero, ma le reazioni degli altri talvolta. Avrei capito che non si cerca la propria dimensione nello specchio degli occhi dell'altro.
Ed altre frasi ed altre immagini si sarebbero alternate in rapida successione: il Negro de la Calle, le birre offerte a giro che quantipiusiamopiuneprendiamo, e tornare al Marsella e all'Oveja, e gli amici di Marco, e quell'istante di pura gentilezza che mi avrebbe sconvolto (ed emozionato realmente, e questo lo avrei capito soltanto più tardi), ci immergevamo di bar in bar, di piazza in piazza, vivendo ogni istante per ciò che era. Ed era bello vedere Wawa e Celine che ricostruivano gli spostamenti miei e di E., nel tentare di capire perché qualcuno aveva suonato al citofono "nel cuore della notte" (alle 7.30 di mattina, avrei ingenuamente obiettato). Era bello mescolarsi ad un gruppo di sconosciuti e sentirli cantare tutti insieme, gentilissimi come se mi avessero conosciuto da sempre, ed era bello persino l'imprevisto del volere un imprevisto. O ancora, rientrare a casa e trovare quei volti familiari, dire Wellington, o Canberra, o Delhi e respirare a pieni polmoni tutti insieme.
Es lo que hay, sarebbe stata la grande lezione di questi giorni di pura follia.
E infine scene in ordine sparso, da fissare nei ricordi. Quei lacrimoni di una ragazza che aveva appena perso chiavi, monedero e DNI, e l'abbraccio che mi regalò poi; il grande cuore Italiano, talvolta insopportabile, talvolta farsesco nel suo inno calcistico, ma nell'istante del bisogno si illuminò di luce divina come suonassero organi sacri; ballare sulle note dei Muse; trovarsi in un bar e capire che non è una scommessa con se stessi che ha come fine la riuscita, ma conoscersi e spingersi sempre un po' più in là, avere quell'iniezione di coraggio liquido che ci fa capire che lo specchio dell'altro riflette sempre in prima istanza se stesso. E di fronte a un para que ? si può sempre sorridere
por que es lo que hay

Por cada papel que se acabe, hay una otra escena que empieza

Mi è già capitato di aprire dei blog.

http://senzastelle.spaces.live.com/blog/cns!5ED4B953D977EA91!105.entry

http://statidicoscienza.spaces.live.com/blog/cns!C2A859925D3FFB58!135.entry

Mi era capitato di pubblicare dei micromanifesti, per descrivere quello che l'eventuale lettore si sarebbe trovato davanti. Una sorta di disclaimer: non aspettatevi contenuti pratici che non ve ne saranno.

Questa volta non lo farò. Perché continuo a pensare che il blog sia un'esigenza personale, un desiderio di focalizzare o imprimere ricordi, pensieri, impressioni. Ed anche perché, contrariamente agli altri, questa pagina nasce per la precisa richiesta di un amico di ricominciare a scrivere dopo un tempo indefinito. Una serie di coincidenze ha poi rafforzato l'idea.

E dunque si cominci, che per ogni scena che termini un altro debutto è possibile.

La scrittura come igiene mentale (I. Svevo)