domenica 1 settembre 2013

La finestra illuminata

A Parigi c'è una cittadella universitaria, vi sono varie case che ospitano studenti di varie parti del mondo. I Giapponesi abitano in una casetta dall'aspetto estremamente zen, ma che dentro è spartana quanto l'interno di un peschereccio. Al quarto piano c'è una finestrella insonne, da cui si diffondono le note di Appino. Quella finestra è la mia.


mercoledì 24 novembre 2010

November rain

E come preventivabile Novembre arrivò con il suo carico di ciclotimie.
(In ritardo rispetto a quanto mi aspettassi, eventi imprevedibili si erano messi in mezzo)
In questi giorni cielo grigio guardo senza vedere
(certo, il Silenzio non aiuta. Né la costante-crescente sensazione di aver sbagliato completamente impressione, io che faccio delle sensazioni e dell'empatia la mia guida principale)
Li osservo, talvolta sorrido, molto più spesso assorbo questo carico di angosce e domande senza risposta
G., che porge il biberon alla sua piccola che un cervello non ha,
decise di adottarla da missionario in sudamerica, l'avrebbero posta in istituto - luoghi, mi racconta, dove i bimbi abbandonati vivono in gabbie in attesa dell'inevitabile. Fa tutto ciò che io gli dico, mi guarda, ho l'impressione di leggere persino ...speranza. Mi mostra la sua piccola, un foglio bianco, lei si, perché noi possiamo capire. I suoi racconti sanno di tempi lontani, immagino lui e la sua donna, i loro bambini, e quello in arrivo. La casa famiglia, i piccoli abbandonati di cui prendersi cura. E ora che è qui, in quella stanza buia, tra il rumore dell'aerosol e l'inquietante silenzio che caratterizza questo posto io mi fermo sul corridoio, e mi chiedo perché non riesco più a sentirne la gioia. E' passato solo un giorno...
D., con la sua ragazza devastata dall'Epilessia, ha la mia età ma non è su questo mondo, non più da quando aveva sei mesi. Trascorre le sue giornate su una panchina in corridoio, mentre sua figlia  ripete costantemente lo stesso nome, di là dagli educatori. Lo guardo, mi guarda, ha gli occhi tristi, ho gli occhi tristi. Figli così distruggono, senza colpa, sia chiaro, anche la famiglia più bella. Lui e sua moglie non si parlano più. Eppure, quando l'ho chiamata per sapere di più sulla paziente, lei mi diceva "parli lei con gli educatori, mio marito è timido, lo sa..." ...timido. Io userei questa parola solo verso qualcuno a cui voglio bene... E noi ci dilettiamo, aggiungiamo mezza compressa di questo, ne togliamo mezza di quello, e io mi chiedo a cosa serva, che una vita degna quella ragazza non l'avrà mai ... (e poi mi dicono chi sono, io, per capire cosa è degno e cosa non lo è. E forse avete ragione voi, io che  sono giovane, sano, e ho quasi tutto ciò che una persona può desiderare e non conosco ancora cosa sia la serenità)
E poi c'è R., ha sei anni e io non so se camminerà mai, "discinesie ne parassitano il movimento", quando mi ha visto mi è corso incontro sulla sua seggiolina, "Dottor P.", gridava, ed era felice di rivedermi un anno dopo. Io avrei voluto prenderlo in braccio, ma il contatto umano non è mai stato il mio forte, e mi inginocchiavo affianco a lui, e non capivo, come potesse aver così tanta voglia di sorridere, ne rimanevo estasiato. "E' sempre così allegro" chiedevo a suo papà. "Si", diceva lui. E io scuotevo il capo, e mi ripetevo "E' pazzesco..."
Suona il telefono. Interrompo questo flusso di pensieri, chiamano per la mia bimba.
Storie normali, gente speciale, cerco di mantenere vivo uno sguardo.

lunedì 8 novembre 2010

Dei viaggi e dei trattori

Ed era strano partire senza alcuna definizione
Noi si era in viaggio per mete approssimative
Paesaggi che mostravano colori inequivocabili
Silenzio
Fermare la macchina nel nulla
Per cercare un istante di fusione
Sincronizzare i respiri
E poi imprimere le stelle a fuoco nella retina
Perché hai immagini che conservi per la vita
Sorprendersi nel buio
Avere paura, perché no
In quell'assurda fiumana di sentimenti e confusione
Ci trovavamo a parlare di canzoni e affinità

Mi chiedevo quanto potesse reggere la terra
Se la rete tesa in basso fosse già solida
(come del resto sembrava)
Perché non scorrere leggeri
Su quelle note comuni
E dimenticare.

Noi si rideva, si parlava, si restava in silenzio
Su quella strada che scorreva, lei sì, in libertà
In quel nero color creta
Cercavamo un istante di meraviglia
E mi chiedevo se fosse quello l'unico modo
Per scoprirci vicini

Anime che si incrociano per un istante
Sono porte che si schiudono
La percezione senza percezione
Tra fiorentine e trattori
Ridevamo abbracciati
Al riparo

quando chiudevo gli occhi
e diventavo lontano
Viaggiavo e mi dicevo
Va bene così

domenica 10 ottobre 2010

Sospensione

E tutte quelle assurde, improponibili coincidenze

Acquisivano un senso

(non che già non lo avessero

anzi, faceva strano, si sarebbe proseguito così che era già tanto bello

e poi si sa, dopo cambia tutto)

ma quelle coincidenze, si diceva,

portavano dritto ad un abbraccio inevitabile

Sulle note dei Dire Straits

Respiravo Vita

lunedì 4 ottobre 2010

E noi, nel frattempo, si sfrecciava tra Britos e dieci anni fa

La cosa pazzesca, è che noi, in quell'istante lì, sfrecciavamo sulla Statale come se niente fosse. 
Ridevamo, il Procuratore guidava, al Gaugen c'erano gli altri. Lo svizzero, il cognato, l'ispanico, Coppins, forse ci sarebbe stato anche Patrick, e poi Cellons, e gli altri, volti nuovi, volti amici, trovati un po' così
Per caso in una notte senza pretese, erano spuntati da una foto

Un ragazzo senza barba su un cinquantino rosso, gli occhi neri i capelli lunghi, la maglia da portiere ed un caschetto bianco ben calcato sulla testa(una scritta un po' gotica lo qualificava come Valgart)
guardava un po' assorto la fotocamera
dietro a lui troneggiava un cartello, v'era scritto Sirolo

Ecco, noi si stava andando lì e ne frattempo si scherzava. "Alessà, ascoltati questa !" gracchiava il Procuratore fresco di Procura "Viene direttamente dallo Zen ! Domenica pomeriggio, dieci anni fa !"

Le note partivano in un lampo, te la ricordi Vale 2000, ma poi come è andata tra di voi, non so, si sa, però

E noi si correva su quella musica diffusa, uno dopo l'altro si viaggiava sugli aneddoti e sui personaggi, dalla notte appena passata sino a dieci anni fa. E poi, si sa: adesso è facile, è tanto facile, adesso che non c'è più lei è tanto facile, è solo facile capire cosa c'è e amare quel che c'è, ricominciare a vivere con me

La notizia arrivò senza preavviso, mentre le note sgorgavano ancora, nostalgiche, inappropriate.

In quel preciso istante parlavamo ... di Britos, e delle folate offensive di Pandev.

E' la vita che ti sconvolge, con una carezza od un calcio nello stomaco. E ti restituisce la giusta dimensione.

E il 6.5 di Britos scompariva, e lo Zen restava sullo sfondo, e Cognac e gli altri sarebbero stati un sorriso a cui rispondere, quando con la testa non ci sei.

Buon volo, bambina. Adesso è facile, è tanto facile...

martedì 31 agosto 2010

Israele

Nazareth, direzione Tel Aviv.  29/08/2010, ore 17.30

"Sali", mi disse lei, "il tuo autobus e' questo".
Aveva l'uniforme verde e lo sguardo fiero, imbracciava un mitra, con l'altra mano giocherellava con il caricatore.
Dentro decine di militari, tutti piu' giovani di me. Sedeva dietro il mio posto.
Le squillo' il cellulare, rispose, disse "Ima"
Parlava a bassa voce, quasi vergognandosi.
Sorrisi, per lei provai ...tenerezza.

lunedì 9 agosto 2010

E mentre moriva loro parlavano del modulo AD

Lei all'improvviso cambiò stanza, lì lasciò tutti fermi davanti ad uno di quei corpicini trafitti da cateteri e vie. Inermi, addormentati, immersi in un Vuoto di cui ignoro i sogni, tubi e sonde di ogni genere li attraversavano, esili ragni, adagiati in una nonvita scandita da dei beep. Io li guardavo, mi chiedevo, perché tanta bravura, tanta conoscenza, nel fronteggiare ciò che loro stessi definivano cadavere, il sottile confine tra speranza nel miracolo e accanimento terapeutico, esercizi di stile, atmosfere asettiche, pattine e cuffiette, formiche che si affollano, corrono, guardano, calcolano attorno al grande mistero della vita, quattro corpi sospesi a mezzaria avvolti in tecnologiche termoculle, futuristica evoluzione di bolle di sapone.

Loro aggiustavano gamma e millilitri di questo e di quello; io, nel mezzo, tentavo di mantenere quel distaccato punto di vista sul mondo in cui ricerco la tridimensionalità.
Giunse una musichetta, leggera, sul lettino di M. girava ritmico un giocattolino appeso da nonsochi - del resto lui i genitori, non li aveva visti mai. Io M. avevo provato a conoscerlo, gli avevo stretto la manina in un giorno di maggiore entusiasmo, lo accarezzavo non riuscendo a non guardare le sue piaghe da decubito, gli sussurravo qualcosa. Lui si girò, aprì gli occhi, pensavo mi stesse fissando, sorridevo, trasmettere calore. Il suo sguardo mi trapassò, revulsione oculare, nistagmo, capii che davanti ai suoi occhi c'era un vuoto profondo ed insensibile.

Lo avevo visto sorridere, una volta. Cosa sorridi, che non c'è niente da sorridere, gli avevano risposto. Ed io mi chiedevo dove fossero quegli angeli in camice bianco di cui avevo letto, mi domandavo se avessero protetto i loro cuori dietro corazze inespugnabili o se non fosse piuttosto quella la realtà.

Tutti loro entrarono insieme, lei lo accarezzava, quella musichetta dolce aleggiava ancora, l'infermiere gli teneva la manina con delicatezza. Cosa stai facendo qui, hai una faccia triste, le disse qualcuno a cui lei doveva rispondere. Lo sto accompagnando, rispondeva lei, forse sarebbe meglio avere del silenzio. Loro ridevano, commentavano, sindacavano sulle dosi di sedativo che lei gli aveva somministrato perché non sentisse più il dolore, ora che il cuore di M. aveva smesso di battere, ora che non c'era più niente da fare. E si era fatto anche troppo, mi gridavo, che quella non era possibile definirla vita, venire al mondo per trovarsi soli e senza respiro su una termoculla, dipendenti da un respiratore, mentre giornalmente orde di sconosciuti manipolano il tuo corpo, lo bucano, prelevano, sistemano, mantengono in range i tuoi parametri vitali perché questo è ciò che si deve fare nell'attesa di una svolta, improbabile miracolo o lento ed inesorabile decesso.

Lei continuava a guardarlo ignorando le risate, i commenti su questo o quell'altro collega che aveva modificato le dosi, e si, loro ci avrebbero giurato, che il cuore di M avrebbe ripreso a battere, lo aveva già fatto, per attaccamento alla vita o per routine.
Avete visto, sussurrava lei, M. era morto, se si può dire che vivo lo sia mai stato.

Eppure io mi stringevo le dita fino a farle sbiancare, perché in quella sua nonvita avrà comunque percepito un sentimento, avrà desiderato una stilla di calore, una coccola, un sorriso, una carezza, un bacio. Ed era strano andarsene così, con la musichetta sovrastata dai beep, dagli acidi commenti, dalle interferenze, dai capannelli, da occhi voyeristici tra cui annovero anche i miei.
Una mano che lo accarezzava subito ritratta, una stretta sulle dita, per accompagnarti in Nessundove, mentre attorno speculavano su improbabili Aldilà.

Mi dispiace M, non sono riuscito nemmeno a piangere, in quella calca disumana nemmeno io, ospite sconosciuto, sono riuscito a sentirmi libero di dirti ciao.
E mentre si affievoliva l'eco dell'elettrocardiogramma, loro parlavano del tuo modulo AD.